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La dequotazione delle questioni di giurisdizione

translatio iudicii: Cass. Civ., Sezioni Unite, 22 febbraio 2007, n. 4109

Il modo di intendere la giurisdizione, come potere riservato ad un giudice (ordinario ovvero amministrativo) di decidere su una controversia, esprimeva l’idea di una giustizia che si attua all’interno di “comparti” riservati a giudici “diversi”. Il ribaltamento del rapporto potere – cittadino, con la costituzionalizzazione del principio del giusto processo, porterà la Cassazione a ridefinire la giurisdizione come un diritto del cittadino più che come un potere riservato ad un giudice, chiamato adesso a rendere un servizio, ossia giustizia, in modo effettivo. Di questo mutato modo di concepire la giurisdizione sono testimonianza le pronunzie sulla translatio iudicii (Cass. Civ., Sezioni Unite, 22 febbraio 2007, n. 4109), sul giudicato implicito sulla questione pregiudiziale di giurisdizione (Cass. Civ., Sezioni Unite 9 ottobre 2008, n. 24883) e sulla pregiudiziale amministrativa (Cass. Civ., Sezioni Unite, 23 dicembre 2008, n. 30254).



 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. CORONA Rafaele - Presidente di sezione -
Dott. VELLA Antonio - Presidente di sezione -
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere -
Dott. TRIFONE Francesco - rel. Consigliere -
Dott. MERONE Antonio - Consigliere -
Dott. BONOMO Massimo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
GOLF VACANZE S.P.A., in persona del Presidente del Consiglio
d'amministrazione pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAPRANICA 95, presso lo studio dell'avvocato MASTELLONI UGO,
che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MURDOLO
GIUSEPPE, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI OPERA;
- intimato -
avverso la decisione n. 8083/04 del Consiglio di Stato di ROMA,
depositata il 16/12/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/06/06 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;
udito l'Avvocato Giuseppe MURDOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MARTONE Antonio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il comune di Opera, proprietario di un campo da golf con annessa club house, con deliberazione consiliare all'esito di gara pubblica ne assegnava la gestione per nove anni alla società S. Inter-Sviluppo Internazionale s.r.l..
La concessione alla scadenza era rinnovata per uguale durata e la società Golf Vacanze s.p.a., nella quale si era trasformata la società concessionaria, con ricorso notificato il giorno 11 marzo 1997 adiva il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, cui chiedeva che il Comune fosse condannato al rimborso delle spese sostenute per la manutenzione straordinaria dell'impianto sportivo, cui l'ente proprietario non aveva provveduto, al risarcimento di danni nonchè alla rimozione di un'insegna abusiva installata sull'edificio adibito a club house.
Il tribunale amministrativo, ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo, accoglieva il ricorso quanto alla domanda di rimborso delle spese di manutenzione straordinaria e lo rigettava per le pretese relative al risarcimento dei danni ed alla rimozione dell'insegna.
Il Consiglio di Stato, sull'appello del Comune soccombente, con sentenza pubblicata il 16 dicembre 2004 annullava senza rinvio la decisione di primo grado, ritenendo che la controversia, nella parte relativa al rimborso delle spese effettuate dal concessionario per la manutenzione straordinaria, comprese quelle relative all'edificio della club house, rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario.
Il giudice d'appello, premesso che d'ufficio avrebbe potuto riesaminare la questione di giurisdizione, considerava che si trattava di controversia riguardante l'esistenza e l'adempimento di obbligazione pecuniaria, avente ad oggetto il corrispettivo dei lavori di straordinaria manutenzione eseguiti dalla società concessionaria, per cui, in applicazione della disciplina che in tema di concessione-contratto riserva al giudice ordinario la cognizione delle questioni relative a "canoni, indennità ed altri corrispettivi", riteneva che essa rientrasse nella giurisdizione del medesimo giudice ordinario.
Rilevava, inoltre, che non poteva essere condivisa la conclusione del giudice di primo grado - secondo cui l'esame della questione controversa, comportando lo scrutinio del provvedimento concessorio al fine di desumerne i rispettivi obblighi, spettava al giudice amministrativo - poichè anche nelle liti attinenti a "canoni, indennità ed altri corrispettivi" deve, comunque, procedersi all'interpretazione dell'atto di concessione e dell'eventuale disciplinare.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società Golf Vacanze s.p.a., che ha affidato l'accoglimento dell'impugnazione ad un unico motivo. Non ha svolto difese l'intimato Comune di Opera.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico mezzo d'impugnazione - deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui alla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5 e l'erronea dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 1 e art. 362 c.p.c., comma 1 - la società ricorrente premette che avverso la sentenza di primo grado dei Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sul punto relativo alla questione di giurisdizione, il comune di Opera non aveva proposto impugnazione, per cui in ordine alla ritenuta giurisdizione del giudice amministrativo si era formato il giudicato.
Denuncia, comunque, che la decisione del Consiglio di Stato sulla giurisdizione sarebbe errata, in quanto, facendo parte gli impianti sportivi del patrimonio indisponibile del Comune e potendosene trasferire la disponibilità ai privati solo mediante concessione amministrativa (che assume la configurazione dell'atto complesso della concessione-contratto e non quella della locazione), tutte le controversie insorgenti da tale rapporto sarebbero devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 5, pur quando la domanda sia diretta a conseguire la condanna della pubblica amministrazione concedente al risarcimento dei danni derivati dal mancato adempimento di determinati obblighi imposti dalla convenzione.
Il motivo è fondato.
E' pacifica nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite (da ultimo;Cass., sez. un., n. 7039/2006; Cass., sez. un., n. 1327/2000; Cass., sez. un., n. 36/99; Cass., sez. un., n. 850/98) la regola di diritto secondo lei quale, dal coordinamento dei principi sulla rilevabilità d'ufficio del difetto di giurisdizione con quelli che disciplinano il sistema delle impugnazioni, deriva che, ove il giudice di primo grado abbia espressamente statuito sulla giurisdizione, il riesame della questione da parte del giudice di secondo grado postula che essa sia stata riproposta con il mezzo di gravame, ostandovi, altrimenti, la formazione del giudicato interno.
E' stato, pertanto, espressamente stabilito (Cass., sez. un., n. 411/87) che qualora il tribunale amministrativo regionale abbia espressamente e positivamente statuito sulla propria giurisdizione, provvedendo poi sul ricorso, la mancata riproposizione, in sede di appello davanti al Consiglio di Stato, della relativa questione determina la formazione del giudicato interno sulla giurisdizione.
L'inosservanza di tale preclusione da parte del Consiglio di Stato, che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo pur in assenza d'impugnazione sulla statuizione del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia espressamente affermativa della sua giurisdizione, comporta che, vertendosi in tema di violazione attinente ai limiti esterni della potestas decidendi (nella specie oggetto di specifico mezzo d'impugnazione per cassazione, ma, comunque, rilevabile ex officio in questa sede) e ritenuto che sulla giurisdizione del giudice amministrativo sussiste;
il giudicato interno, la impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio per nuovo esame al Consiglio di Stato.
La pronuncia di cassazione con rinvio al giudice amministrativo costituisce statuizione con la quale queste Sezioni Unite ritengono di dovere modificare il precedente risalente orientamento, secondo cui la decisione del giudice ordinario o del giudice speciale, con la quale viene dichiarato il difetto di giurisdizione, non consente che il processo possa continuare dinanzi al giudice fornito di giurisdizione.
L'ius receptum (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 7039/2006; Cass., sez. un., n. 19218/2003; Cass., sez. un., n. 17934/2003; Cass., sez. un., n. 8089/2002; Cass., sez. un., n. 7099/2002; Cass., sez. un., n. 6041/2002; Cass., sez. un., n. 2091/2002; Cass., sez. un., n. 14266/2001; Cass., sez. un., n. 1146/2000; Cass., sez. un., n. 1166/94; Cass., sez. un., n. 10998/93) sul tema considera che la translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale (e viceversa) presuppone necessariamente l'unicità della giurisdizione, nel cui ambito il rapporto processuale viene considerato regolarmente costituito sia pure innanzi al giudice incompetente, con la conseguenza che, una volta riassunta la causa davanti a quello competente, risultano salvi tutti gli atti in precedenza proposti.
Nel caso, invece, di domanda proposta innanzi ad un giudice privo di giurisdizione, non è possibile la riassunzione dinanzi al giudice - amministrativo o speciale - fornito di tale giurisdizione, mentre lo è se il giudice fornito di giurisdizione è il giudice ordinario.
La giustificazione di tale orientamento ha continuato ad essere tratta essenzialmente dalla considerazione che, nel caso di difetto di giurisdizione, non trova applicazione la norma dell'art. 50 cod. proc. civ., riferibile solo alla materia della competenza, e di siffatta conclusione si sostiene che la ulteriore conferma sarebbe data dalla regola, stabilita dall'articolo 367 c.p.c., che consente la riassunzione del processo, a seguito del regolamento di giurisdizione, solo quando la Corte di cassazione dichiari la giurisdizione del giudice ordinario.
Rispetto al suddetto consolidato indirizzo, ostativo alla translatio ed alla conservazione degli effetti degli atti compiuti innanzi al giudice sfornito di giurisdizione, non erano mancate, tuttavia, decisioni di segno contrario.
Questo giudice di legittimità, infatti, cassando la sentenza di una commissione tributaria regionale, che aveva escluso la giurisdizione del giudice tributario affermata, invece, dalla decisione della commissione provinciale in primo grado, aveva pronunciato sentenza di rinvio al giudice tributario di secondo grado perchè avesse dato "luogo al giudizio di merito" ed avesse provveduto inoltre "alla liquidazione delle spese" del giudizio di cassazione (Cass., n. 88/2001; Cass., n. 1496/2002). In proposito non va però trascurata l'istituzione della sezione tributaria presso la Corte di Cassazione, dopo l'abrogazione della Commissione tributaria centrale, che è divenuta in sede di legittimità giudice naturale del processo tributario.
In altra precedente statuizione (Cass., n. 5357/87), aveva, altresì, ritenuto, in applicazione analogica dell'art. 50 cod. proc. civ., che, in tema di responsabilità del vettore relativamente alle merci trasportate, non si verifica la prevista decadenza per il mancato esercizio dell'azione entro il termine dell'anno quando la domanda, proposta tempestivamente innanzi al giudice straniero privo di competenza giurisdizionale, sia tempestivamente riassunta innanzi al giudice nazionale nel termine di sei mesi dalla pronuncia declinatoria sulla giurisdizione del giudice straniero medesimo.
Si era trattato, tuttavia, di decisioni isolate - o peculiari alla giurisdizione tributaria o basate più sull'evitata decadenza che sulla translatio - che non solo non avevano avuto successiva ed argomentata conferma, ma che neppure avevano affrontato il problema in consapevole contrasto con l'esistente consolidata giurisprudenza, per cui ad esse non può essere assegnata la qualifica di veri e propri precedenti difformi di un indirizzo esegetico tralaticio, di cui sarebbe stato opportuno verificare l'attuale sua validità anche a seguito del mutato panorama legislativo, nel quale la questione veniva inevitabilmente a riproporsi.
La dottrina, in prevalenza, a sua volta affermava che ciò che valeva per la competenza non poteva valere anche per la giurisdizione in mancanza di una norma specifica, parallela a quella posta dall'art. 50 cod. proc. civ., e ribadiva che l'effetto impeditivo della decadenza (da collegare ad un evento a tal fine idoneo, non già alla espressione di semplice volontà sostanziale del soggetto agente) non poteva derivare, in modo ritualmente recettizio, dalla domanda giudiziale a qualsiasi giudice rivolta, ma supponeva la valida instaurazione del processo davanti al giudice fornito di giurisdizione, sì che ne fosse stato possibile in prosieguo un esito tale da definire il merito della controversia.
Con allargato riferimento al tema del difetto di giurisdizione del giudice nazionale nei confronti del giudice straniero, la dottrina, inoltre, decisamente rifiutava la statuizione di Cass., n. 5357/87.
Analogamente considerava che neppure nella Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile, resa esecutiva in Italia con la L. 21 giugno 1971, n. 804) esisteva una norma che consentisse la prosecuzione del giudizio avanti al giudice straniero relativamente ad un'azione instaurata avanti al giudice nazionale dichiaratosi privo di competenza giurisdizionale ed escludeva che, nel caso suddetto, potesse farsi luogo alla translatio iudicii per effetto della disciplina dettata dalla Convenzione medesima al fine di distribuire la competenza giurisdizionale fra i giudici degli Stati membri nei casi previsti di connessione di cause e di contemporanea pendenza della medesima causa innanzi a giudici di Stati diversi, giacchè la disciplina sulla connessione e sulla litispendenza riguardava pur sempre ipotesi in cui sussisteva la competenza giurisdizionale in capo ai diversi giudici nazionali.
In tale generale contesto non erano mancate, tuttavia, autorevoli opinioni contrarie, che, procedendo dal principio fondamentale dei nostri Autori classici seconde cui il processo deve tendere ad una sentenza di merito, avevano posto in risalto come - anche con riguardo ai rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale, nell'evidente interesse del litigante di evitare gli ostacoli inutili ed i danni non necessari della lite e dello Stato di spendere nel migliore dei modi l'opera dei suoi organi - dovesse essere assicurata, unitamente alla conservazione degli effetti della domanda proposta al giudice privo di giurisdizione, la trasmigrabilità della causa al giudice che ne sia fornito.
Anche il Giudice delle leggi, del resto, aveva avvertito (Corte Cost., 16 ottobre 1986, n. 220) che il giusto processo è diretto non allo scopo di sfociare in una decisione purchessia, ma di rendere pronuncia di merito stabilendo chi ha ragione e chi ha torto, onde esso deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell'azione in senso sostanziale e, nei limiti del possibile, non esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali.
Più di recente il tema della translatio iudicii nel rapporto tra giudice ordinario e giudice speciale ha costituito argomento di rinnovato dibattito da parte della dottrina, che, rimproverando l'acritica adesione del giudice di legittimità ai suoi precedenti, non rivisitati in forza delle sopravvenute modifiche legislative e del generale principio del giusto processo, ha evidenziato come l'orientamento circa la possibilità di ricongiungere segmenti processuali diversi solo quando il giudice preventivamente adito sia titolare della potestas iudicandi interna al medesimo ordine giudiziario, dovrebbe essere abbandonato, perchè esso non realizza esigenze meritevoli di tutela e produce un indubbio spreco di attività processuale.
Le ragioni prospettate a sostegno dell'auspicata introduzione del principio della translatio iudicii vengono ravvisate, anzitutto, nell'esteso criterio di ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice speciale sulla base non della diversa situazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo dedotta in giudizio, ma in relazione alla materia, il che, comportando una indubbia situazione di incertezza in ordine al riparto, rende oggi più difficile stabilire a quale giudice (ordinario o speciale) la parte debba rivolgersi, specie dopo che sul riparto di giurisdizione per blocchi di materia è intervenuta la sentenza, in parte modificativa, della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e successivamente la 191 del 2006.
Altra ragione viene indicata nella esigenza di evitare che la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario possa dare luogo, essendo intanto maturato il termine perentorio per la proposizione del ricorso davanti al giudice speciale, alla definitiva stabilità dell'atto impugnato.
Inoltre, si rappresenta che sulle iniziative dei vari disegni di legge de iure condendo, diretti a stabilire espressamente la regola della translatio, vi è stata, nelle diverse sedi in cui il problema è stato dibattuto, la concorde opinione sull'opportunità della introduzione della regola della trasmigrazione del processo in subiecta materia.
Al dibattito dottrinale in corso non è rimasta estranea neppure la giurisprudenza di merito, la quale, sul presupposto che in base al diritto vivente (quale risulta dall'interpretazione data da questo giudice di legittimità) non possa giungersi a sostenere l'ammissibilità della translatio, ha sollecitato l'intervento del giudice costituzionale, cui ha rimesso la decisione sulla verifica di corrispondenza ai parametri primari degli articoli 24, 111 e 113 Cost. della norma di cui alla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 30, nella parte in cui non consentirebbe al giudice amministrativo, che declini la giurisdizione, di disporre la continuazione del processo con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda.
In tale generale contesto anche queste Sezioni Unite - nella loro funzione di Corte regolatrice della giurisdizione in sostituzione dell'originario Tribunale dei Conflitti - ritengono che, in base ad una lettura costituzionalmente orientata della disciplina della materia, che tenga conto delle argomentazioni emergenti dalle intervenute modifiche legislative e delle prospettazioni in parte nuove svolte di recente dalla dottrina sul tema, sussistano le condizioni per potere affermare che è stato dato ingresso nell'ordinamento processuale al principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione.
Premessa indispensabile è la considerazione di carattere generale che, seppure in tema di giurisdizione non è espressamente stabilita una disciplina improntata a quella prevista per la competenza (articoli 44, 45 e 50 c.p.c.), ammissiva della riassunzione della causa dal giudice incompetente a quello competente, neppure sussiste la previsione di un espresso divieto della translatio iudicii nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale.
Occorre, di conseguenza, indagare da quali elementi della normativa vigente si trae la giustificazione che il principio della trasmigrazione della causa assiste anche le pronunce sulla questione di giurisdizione.
A tal fine, decisivo argomento è quello rinvenibile dalla disposizione dell'art. 382 cod. proc. civ., concernente la decisione da parte della Cassazione delle questioni di giurisdizione.
La norma - che, al primo comma, stabilisce che la Corte, qualora decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente e che precisa, al secondo comma, che quando cassa per violazione delle norme sulla competenza, statuisce su questa - prevede, nella prima parte del suo terzo comma, che se riconosce che il giudice del quale si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio, aggiungendo, nella seconda parte, che ugualmente provvede in ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito.
Orbene - ritenuto che il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione può essere proposto non solo contro le sentenze del giudice ordinario, ma anche avverso le sentenze del giudice speciale - sulla scorta della chiara enunciazione della norma dell'art. 382 c.p.c., comma 3, secondo quel che già la dottrina da tempo ha evidenziato, deve univocamente ricavarsi che la pronuncia di cassazione senza rinvio non deve avvenire in tutte le ipotesi in cui questo giudice di legittimità stabilisce che la sentenza impugnata è stata emessa da un giudice sfornito di giurisdizione, ma solo in quei casi in cui, affermando che nè il giudice che detta sentenza ha emesso nè alcun altro giudice è fornito di giurisdizione, ritiene, perciò, che ricorre, in relazione alla pretesa avanzata dalla parte, l'ipotesi di improponibilità assoluta della domanda sia innanzi al giudice ordinario che al giudice speciale.
E' stato, infatti, osservato che il riferimento della norma ad "ogni altro giudice", e non invece soltanto al giudice ordinario, assume significato solo se, di riflesso, si possa ritenere che questa Corte, affermata la giurisdizione di un giudice speciale invece che quella del giudice ordinario o viceversa, non debba esaurire il suo compito con la semplice pronuncia di cassazione senza rinvio, ma sia tenuta anche ad indicare innanzi a quale altro giudice fornito di giurisdizione la causa sia da riassumere.
Il che, del resto, serve anche a dare un più chiaro significato all'espressione del medesimo articolo 382, comma 1 (nella parte in cui la norma stabilisce che, con la statuizione sulla giurisdizione, la Cassazione determina, quando occorre, il giudice competente), nel senso che in caso di pronuncia di cassazione della impugnata sentenza per difetto di giurisdizione questo giudice di legittimità deve individuare pure l'ufficio giudiziario competente, nell'ambito della giurisdizione ordinaria, innanzi al quale il processo deve essere riassunto.
E ciò vale non solo nel caso in cui venga cassata per difetto di giurisdizione la sentenza di un giudice speciale, perchè sussiste la giurisdizione del giudice ordinario; ma anche nel caso inverso, in cui sia cassata la sentenza del giudice ordinario sul diverso presupposto della giurisdizione del giudice speciale.
In sostanza, se la pronuncia dovesse essere sempre di cassazione senza rinvio, non avrebbe senso la indicazione anche del giudice competente, la quale assume, perciò, rilievo essenziale proprio in vista della possibilità di prosecuzione del giudizio al fine di pervenire ad una decisione della controversia nel merito ad opera del giudice fornito di giurisdizione.
Alla suddetta conclusione, a maggior ragione, deve pervenirsi quando (ed è il caso che nella specie viene all'esame) il giudice speciale in sede di appello abbia dichiarato il difetto di giurisdizione, affermata dal giudice speciale in primo grado, e questa Corte, invece, stabilisca che la giurisdizione sia del giudice speciale:
alla cassazione della sentenza impugnata non può che seguire la pronuncia di rinvio davanti al giudice speciale, perchè altrimenti si verificherebbe l'inaccettabile conseguenza di un processo, che si debba concludere con una sentenza che confermi soltanto la giurisdizione del giudice adito senza decidere sull'esistenza o meno della pretesa.
A fronte degli argomenti suddetti, elementi in contrario non provengono dalla disposizione dell'art. 386 cod. proc. civ., che prevede che la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda.
La norma, che stabilisce quale sia la valenza della statuizione sulla giurisdizione qualora il giudizio prosegua, addirittura può essere utilizzata quale conferma del fatto che la prosecuzione è ammissibile sia innanzi al giudice ordinario che a quello speciale, una volta che si ritenga che l'inciso "quando prosegue il giudizio" sia da intendere "quando il giudizio debba proseguire" per il fatto che non si verte in tema di improponibilità assoluta della domanda.
Nè deve indurre a conclusione contraria alla possibilità della traslatio iudicii la previsione di apparente esclusione dell'art. 367 c.p.c., comma 2, secondo cui "se la Corte di cassazione dichiara, la giurisdizione del giudice ordinario, le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza".
Della norma in questione, infatti, non può continuarsi a dare una lettura restrittiva, che - se consentita quando il regolamento di giurisdizione, in base al sistema del codice del 1940, era disciplinato come proponibile unicamente nei giudizi innanzi al giudice ordinario, sicchè la continuazione del processo era ammessa solo quando la Cassazione dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario - deve, allo stato attuale anche della legislazione, tener conto che il regolamento di giurisdizione è proponibile anche nel processo innanzi al tribunale amministrativo regionale (L. n. 1034 del 1971, art. 30) ed avanti al giudice tributario in primo grado (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 3).
Il che significa, anzitutto, che, proposto il regolamento nel giudizio innanzi al giudice amministrativo o a quello tributario e ritenuta dalla Cassazione la giurisdizione del giudice ordinario, diventa, perciò, ammissibile, proprio in applicazione dell'art. 367 c.p.c., comma 2, disporre la riassunzione del processo al giudice ordinario.
Allo stesso modo, inoltre, a seguito di regolamento di giurisdizione proposto innanzi al giudice ordinario, del quale venga affermata la giurisdizione, occorre ritenere che la Cassazione deve disporre la riassunzione della causa innanzi allo stesso giudice speciale: la diversa soluzione, che per l'adozione di tale pronuncia ravvisasse l'ostacolo derivante dal tenore letterale della norma del predetto articolo 367 c.p.c., comma 2, oltre ad introdurre una grave anomalia nel sistema, finirebbe per premiare iniziative pretestuose in danno della parte che, pur avendo adito il giudice fornito di giurisdizione, non potrebbe innanzi ad esso continuare ad esporre le sue ragioni di merito.
In conclusione, sia nel caso di ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., n. 1 - previsto per il solo giudizio ordinario e poi esteso ex art. 111 Cost. a tutte le decisioni, assumendo la veste di ricorso per contestare innanzi alle Sezioni Unite la giurisdizione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata - sia nel caso di regolamento preventivo di giurisdizione proponibile innanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi al giudice amministrativo, contabile o tributario, deve poter operare la transito iudicii. In tal modo si consente al processo, iniziato erroneamente davanti ad un giudice che non ha la giurisdizione indicata, di poter continuare - così come è iniziata - davanto al giudice effettivamente dotato di giurisdizione, onde dar luogo ad una pronuncia di merito che conclude la controversia processuale, comunque iniziata, realizzando in modo più sollecito ed efficiente quel servizio giustizia, costituzionalmente rilevante.
Una volta ritenuto che dopo l'intervento della Cassazione, affinchè sia realizzato il principio che il processo deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell'azione in senso sostanziale, deve farsi luogo alla translatio iudicii, è il caso di aggiungere, per ragioni di completezza sistematica, che la trasmigrabilità della causa dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, non richiede necessariamente la pronuncia di queste Sezioni Unite sulla questione di giurisdizione, ma è resa possibile anche nel caso di sentenza del giudice di merito, che abbia declinato la giurisdizione.
Si è sostenuto in dottrina che, seppure la translatio iudicii è consentita quando sulla giurisdizione sia intervenuta la pronuncia della Cassazione, perchè ad essa possa farsi luogo anche a seguito di pronuncia declinatoria del giudice di merito sulla giurisdizione occorrerebbe l'intervento della Corte costituzionale diretto ad eliminare l'attuale disciplina impeditiva, che contrasta con gli articoli 3, 24 e 111 Cost..
Ma non è necessario sollecitare sul punto l'intervento del Giudice delle leggi (cfr. T.A.R. Liguria 21.11.2005, n. 148), potendosi a tale conclusione pervenire ancora in sede interpretativa.
Seppure la sentenza del giudice di merito - sia esso ordinario che amministrativo, tributario o contabile declinatoria della giurisdizione, a differenza di quella delle Sezioni Unite della Cassazione, non imponga, al giudice del quale è stata affermata la giurisdizione, di adeguarsi a tale pronuncia, onde il giudice ad quem, innanzi al quale la causa fosse riassunta, potrebbe a sua volta dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, occorre considerare che, in tal caso, alle parti, per la soluzione del conflitto negativo di giurisdizione, è dato il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 362 c.p.c., comma 2, sicchè il previsto meccanismo correttivo della denunciata situazione di stallo, nel rispetto del principio che ogni giudice è giudice della propria giurisdizione, consente, nella soluzione del conflitto, di pervenire alla decisione della questione di giurisdizione con effetti vincolanti nei confronti del giudice dichiarato fornito di giurisdizione, innanzi al quale è resa praticabile la translatio iudicii. Il problema giuridico che esula dalla presente controversia merita di essere ulteriormente approfondito.
Qui giova precisare che l'apparente antinomia della suddetta conclusione con la disposizione della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 34, comma 1, laddove si prevede l'annullamento senza rinvio della decisione del tribunale amministrativo regionale da parte del Consiglio di Stato quando l'organo di secondo grado riconosca il difetto di giurisdizione del giudice di primo grado, si compone nel rilievo che il difetto di giurisdizione considerato dalla norma concerne anch'esso le sole ipotesi in cui non è configurabile una prosecuzione del processo nè innanzi al giudice speciale, nè innanzi al giudice ordinario, in parallelo alla disposizione dell'art. 382 c.p.c., comma 3.
Per la particolarità della fattispecie esaminata sussistono giusti motivi (art. 92 cod. proc. civ.) per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite accoglie il ricorso; dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo; annulla la sentenza impugnata e rimette le parti innanzi al Consiglio di Stato perchè dia luogo al giudizio di merito. Compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2007

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