La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 11 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) nella parte in cui non prevede, a richiesta dell’opponente, che abbia dichiarato la residenza o eletto domicilio in un comune diverso da quello dove ha sede il giudice adito, modi di notificazione ammessi a questo fine dalle norme statali vigenti, alternativi al deposito presso la cancelleria.
Corte Costituzionale - sentenza 22 dicembre 2010 n. 365 - Pres. De
Siervo, Red. Cassese
E’ costituzionalmente illegittimo - violando gli artt. 3 e 24 Cost. -
l’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 11 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), nella parte in cui - per il giudizio di
opposizione alle sanzioni amministrative - non prevede, a richiesta
dell’opponente, che abbia dichiarato la residenza o eletto domicilio in
un comune diverso da quello dove ha sede il giudice adito, modi di
notificazione ammessi a questo fine dalle norme statali vigenti,
alternativi al deposito presso la cancelleria. Infatti, sia lo sviluppo
tecnologico e la crescente diffusione di nuove forme di comunicazione,
sia l’evoluzione del quadro legislativo, hanno reso irragionevole
l’effetto discriminatorio determinato dalla normativa censurata, che
contempla il deposito presso la cancelleria quale unico modo per
effettuare notificazioni all’opponente che non abbia dichiarato
residenza o eletto domicilio nel comune sede del giudice adito né abbia
indicato un suo procuratore.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e
quinto comma, della legge 11 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), promosso dal Giudice di pace di Milano nel
procedimento vertente tra F.M. e il Comune di Segrate con ordinanza del
28 ottobre 2008, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2010 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie
speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010 il Giudice
relatore Sabino Cassese.
Ritenuto in fatto
1. – Il Giudice di pace di Milano, sezione II, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, con ordinanza del 28 ottobre 2008 (reg.
ord. n. 170 del 2010), in relazione agli artt. 3, 24 e 113 della
Costituzione, dell’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 11
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui
pone a carico del ricorrente l’onere di eleggere domicilio nel luogo in
cui ha sede il giudice adito e stabilisce che, in difetto, le
comunicazioni al medesimo avvengano mediante semplice deposito presso
la cancelleria.
2. – L’art. 22, quarto comma, della legge n. 689 del 1981, prevede che,
nel caso di opposizione a sanzioni amministrative, «il ricorso deve
contenere altresì, quando l’opponente non abbia indicato un suo
procuratore, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio
nel comune dove ha sede il giudice adito». Il successivo quinto comma
dispone che «se manca l’indicazione del procuratore oppure la
dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio, le notificazioni
al ricorrente vengono eseguite mediante deposito in cancelleria».
3. – Il giudice rimettente riporta che il ricorrente nel giudizio
principale, con atto depositato in data 30 ottobre 2007 presso
l’Ufficio del Giudice di pace di Milano, ha proposto opposizione al
verbale della Polizia Locale di Segrate n. 27888/2007-R22935 del 3
settembre 2007, notificatogli il 24 settembre 2007, a seguito di
violazione dell’art. 146, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285 (Nuovo Codice della Strada). L’opponente, residente ad
Antegnate (Bergamo), non ha eletto domicilio in Milano e, pertanto, la
comunicazione di fissazione dell’udienza è stata effettuata – ai sensi
dell’art. 22, quinto comma, della legge n. 689 del 1981 – mediante
deposito nella cancelleria dell’Ufficio del Giudice di pace di Milano,
sezione IV. All’udienza del 4 aprile 2008 è comparso il ricorrente, ma
non si è presentato il Comune opposto che, con atto depositato in
cancelleria, ha chiesto un rinvio della causa. Il giudice ha quindi
fissato una nuova udienza al 4 ottobre 2008, con avviso al Comune non
presente. L’8 luglio 2008 la causa è stata riassegnata al Giudice di
pace della sezione II, odierno rimettente, che ha fissato altra udienza
per il 28 ottobre 2008. Il provvedimento è stato regolarmente
notificato al Comune, mentre è stato comunicato al ricorrente mediante
il solo deposito in cancelleria. All’udienza del 28 ottobre 2008 si è
presentato il rappresentante del Comune opposto, ma non è comparso il
ricorrente.
3.1. – Il giudice a quo rileva, innanzitutto, che il cambiamento del
magistrato investito del giudizio, per di più appartenente ad altra
sezione, ha reso ancor più problematica ed aleatoria la possibilità per
il ricorrente di essere tempestivamente a conoscenza dell’avvenuto
deposito ed ancor maggiore la conseguente difficoltà a farsi parte
attiva presso la cancelleria, diversa da quella a lui nota. Il giudice
rimettente sottolinea, inoltre, che la mancata comparazione del
ricorrente riproduce un comportamento assenteista pressoché costante a
fronte della comunicazione del provvedimento di convocazione con
semplice deposito presso la cancelleria e legittima la supposizione che
tale assenza si debba ricondurre proprio alla difficoltà spesso
insormontabile di pervenire a conoscenza della comunicazione della data
di udienza, considerando di fatto anche l’imprevedibilità dei tempi di
deposito del provvedimento.
3.2. – In ordine alla rilevanza, il giudice rimettente osserva che il
dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto
comma, della legge n. 689 del 1981, è determinante agli effetti del
giudizio. Quest’ultimo, infatti, «dipende dai diversi elementi di prova
di cui il giudice potrebbe disporre a seconda che sia o meno affermata
l’illegittimità costituzionale delle norme considerate, per la parte a
carico del ricorrente stesso, posto nell’impossibilità concreta di
proporli laddove si ritenga legittima la sua convocazione mediante la
sola comunicazione in cancelleria». Ad avviso del giudice rimettente,
nel caso di specie, per la mancata notifica della sostituzione del
giudice, con l’avviso di udienza in data modificata, l’opponente non si
è presentato e non ha sviluppato le proprie difese, mentre, dall’altra
parte, il Comune opposto non ha prodotto alcunché da cui desumere
l’illegittimità o meno della sanzione impugnata. Secondo il giudice a
quo, mancherebbero, dunque, i presupposti per una corretta pronuncia di
merito.
3.3 – Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente
premette che, in base all’interpretazione prevalente dell’art. 22,
quarto e quinto comma, della legge n. 689 del 1981, la comunicazione in
cancelleria è legittima ogni volta che non sia stato indicato alcun
indirizzo di residenza o domicilio nel luogo dove ha sede il giudice
adito. Secondo il giudice a quo, inoltre, sarebbe già stata esclusa la
illegittimità costituzionale delle norme censurate (con l’ordinanza n.
391 del 2007), talché non vi sarebbe alcuna violazione della
Costituzione laddove sia prevista una diversa forma di comunicazione
fra la pubblica amministrazione, da un lato, e i cittadini, dall’altro,
trattandosi di materia riservata alla libera valutazione discrezionale
del legislatore. Al giudice rimettente sarebbe quindi precluso adottare
altro criterio di applicazione delle norme in questione, come quello
che riconosca la possibilità di attuare la notifica mediante deposito
presso la cancelleria solo nell’ipotesi in cui l’opponente non abbia
indicato in assoluto alcun luogo di residenza o di domicilio e non
quando abbia, invece, dichiarato la propria residenza in altro Comune.
Il giudice a quo, tuttavia, asserisce di proporre la questione di
legittimità costituzionale in termini che non sono ancora stati
sottoposti all’esame di questa Corte. Secondo il giudice rimettente,
l’art. 22, quarto e quinto comma, della legge n. 689 del 1981,
lederebbe il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla
legge e nell’esercizio del loro diritto di tutela giudiziaria nei
confronti di qualsiasi atto della pubblica amministrazione (artt. 3, 24
e 113 Cost.), in quanto comporterebbe «una sperequazione fra coloro che
risiedono o possono eleggere domicilio – di regola presso un difensore
o procuratore legale» nel comune dove ha sede il giudice adito «e
coloro che tale possibilità non hanno». Tale disparità contrasterebbe
con il principio di uguaglianza perché introdurrebbe «un elemento
discriminatorio e privo di qualunque giustificazione progettuale del
legislatore, proprio fra i singoli cittadini». Né vi sarebbe altra
spiegazione razionale, ad avviso del giudice a quo, data la possibilità
per gli uffici di porre in essere altre forme di comunicazione
alternative, quali l’uso di telefono, fax, internet, attualmente
previsti e utilizzati nelle cause civili. Peraltro, il giudice
rimettente rileva che una simile soluzione non sarebbe consentita nel
caso delle opposizioni a sanzioni amministrative, trattandosi di
materia regolata con norme a carattere eccezionale e, perciò, non
interpretabili in via analogica o con applicazione estensiva delle
norme generali. La normativa censurata, dunque, secondo il giudice a
quo, sarebbe irragionevole, perché non contiene alcuna spiegazione a
giustificazione del diverso trattamento dei cittadini, ma è basata
soltanto sul fatto della residenza o della possibilità di eleggere o
meno domicilio dove ha sede il giudice adito. Né sarebbe invocabile la
discrezionalità del legislatore, in quanto si risolverebbe in puro
arbitrio, inammissibile per i principi della Costituzione, «che prevede
l’impegno dello Stato a rimuovere gli ostacoli che si frappongono
all’uguaglianza dei cittadini». L’art. 22, quarto e quinto comma, della
legge n. 689 del 1981, dunque, imponendo modalità di ricorso al giudice
ordinario in condizioni differenziate per le diverse categorie di
cittadini, con riferimento a situazioni di fatto che «ostacolano ad
alcuni e non ad altri l’esercizio del loro diritto di tutela
giurisdizionale», violerebbe gli artt. 3, 24 e 113 Cost.
4. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata
infondata.
La difesa dello Stato rileva che questa Corte è già stata investita in
passato delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22
della legge n. 689 del 1981, in termini analoghi a quelli contenuti
nell’ordinanza di rimessione del presente giudizio, optando per
l’inammissibilità di tale questione. In particolare, con riferimento
all’art. 3 Cost., la Corte ha affermato che «le differenze
riscontrabili fra la disciplina delle notificazioni alla parte che non
nomina un procuratore ed a quella costituita a mezzo di procuratore
legale rispecchiano le differenze esistenti fra la situazione del
soggetto che sceglie di difendersi personalmente, ed è perciò
interessato a seguire gli sviluppi di un’unica vicenda processuale e la
situazione del soggetto che, avendo optato per l’assistenza di un
legale, ha diritto di attendersi che quest’ultimo sia in grado di
svolgere efficacemente l’attività professionale in sua difesa»
(ordinanza n. 42 del 1988). Con riguardo al diritto di difesa, inoltre,
questa Corte ha precisato che «il regime di notificazione previsto
dalla norma impugnata non rende né impossibile, né eccessivamente
gravoso l’esercizio del diritto di difesa, ma si inserisce
razionalmente nell’ambito di una normativa diretta a snellire e a
semplificare le procedure relative alle infrazioni di lieve entità
"depenalizzate"» (ordinanza n. 42 del 1988).
L’Avvocatura generale dello Stato osserva, infine, che, questa Corte
avrebbe rilevato che una analoga disciplina per la notifica dei
provvedimenti è prevista in disposizioni di contenuto similare, anche
per altri procedimenti, tanto da poter affermarsi che tale assetto
rappresenta un dato dell’ordinamento variabile in relazione a diversi
modelli procedimentali su cui non è possibile operare muovendo da una
singola norma e valutando, all’interno del quadro sistematico
complessivo, una singola ratio, dovendo, pertanto, riconoscersi che si
tratta di materia riservata alla discrezionalità del legislatore
(sentenza n. 431 del 1992).
Considerato in diritto
1. – Con ordinanza del 28 ottobre 2008, il Giudice di pace di Milano,
sezione II, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in
relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dell’art. 22,
quarto e quinto comma, della legge 11 novembre 1981, n. 689 (Modifiche
al sistema penale), nella parte in cui pone a carico del ricorrente
l’onere di eleggere domicilio nel luogo in cui ha sede il giudice adito
e stabilisce che, in difetto, le comunicazioni al medesimo avvengano
mediante semplice deposito presso la cancelleria.
1.1. – La normativa censurata riguarda le modalità delle notificazioni
al ricorrente che abbia proposto opposizione a sanzione amministrativa.
L’art. 22, quarto comma, della legge n. 689 del 1981, prevede che «il
ricorso deve contenere altresì, quando l’opponente non abbia indicato
un suo procuratore, la dichiarazione di residenza o la elezione di
domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito». Il successivo
quinto comma stabilisce che «se manca l’indicazione del procuratore
oppure la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio, le
notificazioni al ricorrente vengono eseguite mediante deposito in
cancelleria».
1.2. – Secondo il giudice rimettente, l’art. 22, quarto e quinto comma,
della legge n. 689 del 1981, lederebbe il principio di uguaglianza dei
cittadini in ordine al loro esercizio del diritto di tutela giudiziaria
nei confronti di qualsiasi atto della pubblica amministrazione, in
quanto comporterebbe «una sperequazione fra coloro che risiedono o
possono eleggere domicilio – di regola presso un difensore o
procuratore legale» nel comune dove ha sede il giudice adito «e coloro
che tale possibilità non hanno». Ad avviso del giudice a quo, pertanto,
la normativa censurata sarebbe irragionevole, perché non contiene
alcuna spiegazione a giustificazione del diverso trattamento dei
cittadini, ma è basata soltanto sul fatto della residenza o della
possibilità di eleggere o meno domicilio dove ha sede il giudice adito.
L’art. 22, quarto e quinto comma, della legge n. 689 del 1981, sostiene
il rimettente, imponendo modalità di ricorso al giudice ordinario in
condizioni differenziate per le diverse categorie di cittadini, con
riferimento a situazioni di fatto che ostacolano l’esercizio della
tutela giurisdizionale, violerebbe gli artt. 3, 24 e 113 Cost.
2. – La questione è fondata.
2.1. – Il procedimento giurisdizionale di opposizione alle sanzioni
amministrative, regolato in via generale dagli artt. 22 e 23 della
legge n. 689 del 1981, si caratterizza «per una semplicità di forme del
tutto peculiare, all’evidenza intesa a rendere il più possibile agevole
l’accesso alla tutela giurisdizionale nella specifica materia»
(sentenza n. 98 del 2004). Una volta introdotto il giudizio (art. 22,
terzo comma), «l’opponente – cui è data facoltà di stare in giudizio
personalmente (art. 23, quarto comma) – non è infatti gravato da alcun
ulteriore incombente al fine della instaurazione del contraddittorio,
essendo fatto carico alla cancelleria di provvedere alla notificazione
alle parti del ricorso stesso e del decreto del giudice contenente la
fissazione dell’udienza di comparizione (art. 23, secondo comma).
All’udienza i mezzi di prova necessari sono disposti dal giudice anche
d’ufficio e la citazione dei testimoni – cui pure si provvede
d’ufficio, così come ad ogni comunicazione e notificazione nel corso
del processo (art. 23, nono comma) – può essere disposta anche senza
formulazione di capitoli (art. 23, sesto comma)» (così ancora la
sentenza n. 98 del 2004).
2.2. – In tale contesto, l’art. 22, quarto e quinto comma, della legge
n. 689 del 1981, detta modi di notificazione differenziati. Se,
infatti, l’opponente non ha dichiarato la propria residenza, né ha
eletto domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito, le
notificazioni al ricorrente sono eseguite mediante deposito in
cancelleria. Se, invece, l’opponente ha dichiarato di risiedere o ha
eletto domicilio nel comune sede del giudice adito, le notificazioni
sono effettuate, a cura della cancelleria (ai sensi dell’art. 23, nono
comma , della legge n. 689 del 1981), secondo le norme del codice di
procedura civile.
Tale differenziazione rappresenta, in contrasto con la semplificata
struttura processuale degli art. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981,
un fattore di dissuasione anche di natura economica dall’utilizzo del
mezzo di tutela giurisdizionale, in considerazione tra l’altro dei
costi, del tutto estranei alla funzionalità del giudizio, che
l’intervento personale può comportare nei casi, certamente non
infrequenti, in cui il foro dell’opposizione non coincida con il luogo
di residenza dell’opponente, come questa Corte ha già affermato nel
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 22 della legge n.
689 del 1981 nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio
postale per la proposizione dell’opposizione (sentenza n. 98 del 2004).
La normativa censurata, pertanto, produce una sperequazione fra coloro
che risiedono nel comune dove ha sede il giudice adito e coloro che
risiedono altrove, con conseguente limitazione del diritto di difesa,
in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
2.3. – Questa Corte ha ritenuto legittimo l’art. 22, quarto e quinto
comma, della legge n. 689 del 1981 (da ultimo, ordinanza n. 391 del
2007).
Tuttavia, da un lato, la questione, nel presente giudizio, è stata
prospettata in termini nuovi, in quanto non era stata ancora lamentata,
dinanzi a questa Corte, la discriminazione tra cittadini, determinata
dalle disposizioni censurate, «basata soltanto sul fatto della
residenza o della possibilità di eleggere o meno domicilio dove ha sede
il giudice adito».
Dall’altro lato, in considerazione dei mutamenti intervenuti
recentemente nei sistemi di comunicazione, il legislatore ha modificato
il quadro normativo riguardante le notificazioni. Il decreto-legge 29
dicembre 2009, n. 193 (Interventi urgenti in materia di funzionalità
del sistema giudiziario), convertito in legge 22 febbraio 2010, n. 24,
ha inserito, infatti, un nuovo articolo – il 149-bis – nella sezione IV
«Delle comunicazioni e delle notificazioni» del libro I del codice di
procedura civile. Tale articolo, intitolato «Notificazione a mezzo
posta elettronica», prevede che «Se non è fatto espresso divieto dalla
legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica
certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento
cartaceo» (primo comma). Successivamente, la legge 29 luglio 2010, n.
120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), ha emendato, tra
l’altro, l’art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), relativo al ricorso al giudice di pace
avverso sanzioni amministrative e pecuniarie comminate per illeciti
previsti dal codice della strada. In base al nuovo comma 3, «il ricorso
e il decreto con cui il giudice fissa l’udienza di comparizione sono
notificati, a cura della cancelleria, all’opponente o, nel caso sia
stato indicato, al suo procuratore, e ai soggetti di cui al comma
4-bis, anche a mezzo di fax o per via telematica all’indirizzo
elettronico comunicato ai sensi dell’articolo 7 del regolamento di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123»
(si tratta del «Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti
informatici e telematici nel processo civile, nel processo
amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali
della Corte dei conti»).
Le recenti modifiche del quadro normativo mostrano un favor del
legislatore per modalità semplificate di notificazione, divenute
possibili grazie alla diffusione delle comunicazioni elettroniche. Tale
orientamento si rintraccia anche nella disciplina legislativa del
procedimento amministrativo, la quale prevede diverse norme per la
comunicazione personale agli interessati, da eseguire a cura del
responsabile del procedimento, anche con strumenti telematici (artt.
3-bis, 6, 7, 8 e 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 «Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi»). La modifica dell’art. 204-bis del codice
della strada, inoltre, ha avuto il chiaro intento di porre rimedio al
problema lamentato dal giudice rimettente, consistente nel «pressoché
costante comportamento assenteista» dell’opponente a fronte della
comunicazione del provvedimento di convocazione con deposito presso la
cancelleria, previsto dall’art. 22 della legge n. 689 del 1981.
2.4. – In conclusione, sia lo sviluppo tecnologico e la crescente
diffusione di nuove forme di comunicazione, sia l’evoluzione del quadro
legislativo, hanno reso irragionevole l’effetto discriminatorio
determinato dalla normativa censurata, che contempla il deposito presso
la cancelleria quale unico modo per effettuare notificazioni
all’opponente che non abbia dichiarato residenza o eletto domicilio nel
comune sede del giudice adito né abbia indicato un suo procuratore.
L’art. 22, quarto e quinto comma, della legge n. 689 del 1981,
pertanto, vìola gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede,
a richiesta del ricorrente, modi di notificazione ammessi a questo fine
dalle norme statali vigenti, alternativi al deposito presso la
cancelleria.
3. – Resta assorbito ogni altro profilo di censura.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto
comma, della legge 11 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema
penale), nella parte in cui non prevede, a richiesta dell’opponente,
che abbia dichiarato la residenza o eletto domicilio in un comune
diverso da quello dove ha sede il giudice adito, modi di notificazione
ammessi a questo fine dalle norme statali vigenti, alternativi al
deposito presso la cancelleria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 15 dicembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2010.