Danno da ritardo: il tempo per il Consiglio di Stato (Sez. V, 28/2/2011, n. 1271) è un bene della vita per il cittadino.
Consiglio di stato, sez. V - 28 febbraio 2011 n. 1271 -
Pres. Baccarini, Est. Chieppa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4060 del 2007,
proposto da:
Lacarbonara Vito, rappresentato e difeso dagli avv.
Antonella Giglio, Alfredo Passaro, con domicilio eletto presso
Antonella Giglio in Roma, via Antonio Gramsci, 14;
contro
Comune di Leporano, rappresentato e difeso dall'avv.
Natalizia Airo', con domicilio eletto presso Roberto Masiani in Roma,
piazza Adriana, 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE:
SEZIONE III n. 00623/2007, resa tra le parti, concernente RISARCIMENTO
DANNO DA RITARDO NEL RILASCIO PERMESSO DI COSTRUIRE.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2010 il
Cons. Roberto Chieppa e uditi per le parti gli avvocati Giglio e
Masiani, su delega dell' avv. Airò;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 623/2007 il Tar per la Puglia, sezione di
Lecce, ha respinto il ricorso proposto dal signor Vito Lacarbonara, che
aveva chiesto la condanna del comune di Leporano al risarcimento dei
danni derivanti dall’illegittimo ritardo nel rilascio del permesso di
costruire in variante, richiesto dal ricorrente in data 27.12.2001.
Vito Lacarbonara ha proposto ricorso in appello avverso tale
sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.
Il comune di Leporano si è costituito in giudizio, chiedendo
la reiezione del ricorso.
Con ordinanza n. 172/2010 questa Sezione ha ritenuto
necessario disporre due consulenze tecniche di ufficio al fine di
accertare:
a) il pregiudizio economico subito dall’appellante per
effetto del ritardo nel rilascio del permesso di costruire in
questione, da riferire al periodo maggio 2002 / maggio 2004, con
indicazione in particolare:
- delle date di stipula dei singoli contratti preliminari e
dei contratti definitivi e dell’incidenza del dedotto ritardo sulla
stipula di ogni singolo contratto;
- della quantificazione dei mancati interessi bancari
percepiti dall’appellante per effetto del ritardo nella corresponsione
dei corrispettivi spettanti al momento della stipula dei contratti
definitivi o delle maggiori somme pagate dallo stesso appellante per
gli interessi dovuti ad esposizioni debitorie, non estinte o non
ridotte a causa della ritardata stipula dei contratti definitivi;
- della quantificazione del complessivo pregiudizio
patrimoniale subito dal ricorrente a causa del suddetto ritardo,
valutata anche con riguardo al complesso della sua situazione
patrimoniale.
b) la sussistenza delle patologie e dell’alterazione dello
stato psichico, lamentato dal ricorrente, con indicazione della data di
insorgenza e della sussistenza, o meno, del nesso di causalità rispetto
al ritardo nel rilascio del permesso di costruire e con quantificazione
del relativo danno.
Espletate le due consulenze e depositate le relazioni,
all’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto della presente controversia è costituito da una
domanda di risarcimento del danno, asseritamente derivato
all’appellante a causa del ritardo del comune di Leporano nel rilascio
di un permesso di costruire in variante.
I danni lamentati concernono le conseguenze derivanti dal
ritardo nella stipulazione dei contratti definitivi di acquisto degli
immobili da costruire, già oggetto di contratti preliminari e il danno
biologico subito per effetto delle patologie insorte in conseguenza
della condotta omissiva dell’amministrazione.
Il giudice di primo grado ha respinto la domanda
risarcitoria, ritenendo che, pur essendo assolutamente indubbio il
superamento del termine per il rilascio del permesso di costruire
previsto dall’art. 20, 3°- 8° comma, del d.p.r. n. 380/2001 ed
individuato in 75 giorni dal ricevimento della domanda (60 per
l’istruttoria e 15 per l’emanazione dell’atto), deve essere escluso il
requisito soggettivo della colpa in capo all’amministrazione resistente
per effetto di una particolare complessità della fattispecie e di una
serie di evenienze che non possono essere imputate all’amministrazione
comunale di Leporano.
Il Tar ha richiamato i seguenti elementi al fine di
escludere la sussistenza della colpa della p.a.:
a) il fatto che la pratica edilizia mancava degli elaborati
grafici e del necessario parere della Soprintendenza per i beni
architettonici e per il paesaggio della Puglia; documentazione
acquisita al procedimento solo in data 22.2.2002 (nota prot. n. 1739);
b) la rilevazione della presenza di ben due pareri espressi
dalla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della
Puglia, sempre in data 18.2.2002 (e recanti i numeri di protocollo
3149/01 e 6883/01); rilevazione che induceva l’Amministrazione comunale
di Leporano (nota 12.3.2002 prot. n. 2388) ad indirizzare al ricorrente
una richiesta di esibizione degli elaborati allegati al parere prot. n.
6883/01 (richiesta riscontrata dall’interessato solo in data 8.4.2002);
c) la necessità di coordinare i due pareri della
Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della
Puglia, espressi con riferimento ad elaborati grafici diversi;
d) la rilevazione di un contrasto tra il parere prot. n.
31914/01 espresso dalla Soprintendenza e il decreto di vincolo
24.2.2001; contrasto che era risolto, dopo due solleciti
dell’Amministrazione comunale, solo con la nota 18.4.2003 prot. n. 5427
della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della
Puglia;
e) la richiesta di un parere legale all’Avv. Mauro Ruffo, in
data 15.5.2002; richiesta non andata a buon fine per ragioni di
incompatibilità, comunicate dal legale con la nota 15.7.2002 prot. n.
7031;
f) la rilevazione dell’insufficiente individuazione, negli
elaborati grafici, del piano di calpestio e di una
<<eccessiva invasione del pubblico marciapiedi con le
rampe scala>>; rilevazione che era sostanzialmente
ammessa dallo stesso Lacarbonara che si impegnava, solo con la nota
20.5.2002 prot. n. 4702, a pagare la tassa di occupazione di suolo
pubblico;
g) la necessità di attendere la definizione del giudizio di
impugnazione della concessione edilizia n. 28/97 (che ha dato origine
all’intera edificazione) proposta dai proprietari di uno degli immobili
confinanti avanti al T.A.R. Puglia, Lecce; giudizio definito in primo
grado dalla sentenza 26.2.2003 n. 507 della Prima Sezione del T.A.R.
Puglia, Sez. di Lecce e pendente in Consiglio di Stato;
h) la necessità di sostituire, per ragioni di
incompatibilità (in quanto progettista, nella prima fase, del manufatto
in questione), il Responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di
Leporano con l’unico dipendente in servizio presso l’Ufficio, fornito
della necessaria qualificazione (nota 18.2.2004 prot. n. 2276 del
Sindaco di Leporano);
i) la definizione del procedimento, in data 4.5.2004, con il
rilascio del permesso di costruire richiesto con istanza 27.12.2001;
permesso di costruire che richiamava espressamente, tra i propri
presupposti, la già citata nota 18.4.2003 prot. n. 5427 della
Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per la
Puglia e la sentenza della Prima Sezione del T.A.R., emessa sul ricorso
presentato dai proprietari dell’immobile confinante.
Il Tar ha poi aggiunto che l’azione risarcitoria doveva
essere comunque rigettata anche per una serie di problematiche relative
alla prova del danno risarcibile.
L’appellante Vito Lacarbonara ha contestato tali
statuizioni, sostenendo che gli elementi richiamati dal Tar non sono
idonei ad escludere la colpa dell’amministrazione e, comunque, non
giustificano il ritardo nel rilascio del permesso di costruire in
variante dopo il periodo febbraio – maggio 2002, quando ormai
l’istruttoria era completa.
Secondo l’appellante, inoltre, in relazione al danno e al
nesso di causalità con la condotta omissiva dell’amministrazione
sarebbero stati forniti adeguati elementi, costituenti quanto meno un
principio di prova.
Si osserva che in primo luogo deve essere affrontata la
questione del ritardo imputato all’amministrazione comunale e della
colpa, che – secondo il ricorrente – caratterizzerebbe tale ritardo.
Il giudice di primo grado ha confermato la sussistenza di un
ritardo nel rilascio del permesso di costruire in variante, richiamando
– al fine di escludere l’elemento soggettivo dell’illecito – una serie
di elementi, che in parte si riferiscono alla non completezza della
documentazione istruttoria per carenze addebitabili al ricorrente.
Si rileva in fatto che l’istanza di rilascio del permesso di
costruire in variante è stata presentata in data 27 dicembre 2001 e che
i 75 giorni per la definizione della stessa, richiamati dal Tar,
scadevano nel marzo del 2002.
Lo stesso Tar riconosce che elaborati grafici e parere della
Soprintendenza sono stati acquisiti in data 22 febbraio 2002 e che la
richiesta degli elaborati allegati al parere della Soprintendenza è
stata riscontrata dall’interessato in data 8 aprile 2002.
Ciò significa che in tale ultima data l’istruttoria era
certamente completa e che a quel punto il responsabile del procedimento
avrebbe dovuto formulare entro dieci giorni la sua proposta ai sensi
dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 398/1993, conv. in l. n. 493/1993 ed
entro i successivi quindici giorni il titolo abilitativo avrebbe dovuto
essere rilasciato ai sensi del comma 4 del citato art. 4 (termini
sostanzialmente corrispondenti a quelli stabiliti dall’art. 20 del
D.P.R. n. 380/2001, entrato in vigore definitivamente il 30 giugno
2003).
Il permesso di costruire in variante doveva, quindi, essere
rilasciato entro il 3 maggio 2002, mentre è stato rilasciato solo in
data 4 maggio 2004 con due anni di ritardo.
Gli elementi richiamati dal Tar non sono idonei a escludere
la colpa dell’amministrazione per il ritardo nel provvedere.
Non sono idonee a giustificare il ritardo le richieste
istruttorie inviate dal Comune alla Soprintendenza: quest’ultima aveva
espresso il proprio parere favorevole in data 18 febbraio 2002 e i
documenti prodotti dal ricorrente nell’aprile del 2002 escludevano ogni
dubbio sul progetto in relazione al quale il parere era stato espresso.
Non rientrava a quel punto tra i poteri del Comune sindacare
tale parere e le richieste inviate alla Soprintendenza appaiono in
realtà dirette a contestare un profilo di legittimità del parere
(contrasto con il vincolo), rispetto al quale il Comune non ha
competenza, e non la contraddittorietà con altri atti della
Soprintendenza, che è risultata inesistente, come da quest’ultima
successivamente chiarito.
In ogni caso, ogni dubbio sul parere espresso dalla
Soprintendenza non poteva legittimare la stasi del procedimento, nè una
plurima serie di richieste, che sono risultate essere dilatorie, ma
avrebbe al massimo potuto comportare una rapida e diretta verifica
presso la stessa Soprintendenza, in assenza della quale il procedimento
non poteva che essere portato a conclusione sulla base degli atti, tra
cui vi era il parere favorevole della Soprintendenza.
Ancora più evidente è l’inidoneità delle ulteriori
circostanze richiamate dal tar al fine di giustificare il ritardo:
- la richiesta di un parere legale all’Avv. Ruffo appare un
espediente per non assumere la determinazione finale di un procedimento
la cui istruttoria era ormai completa, come dimostra il fatto che alla
tardiva comunicazione da parte del legale di ragioni di incompatibilità
non è seguito il conferimento ad altro legale dell’incarico di redigere
un parere, in realtà non utile ai fini della decisione;
- la necessità del pagamento dell’occupazione del suolo
pubblico avrebbe dovuto costituire un mero adempimento preliminare al
rilascio del titolo abilitativo, dopo l’accoglimento dell’istanza e non
poteva certo condizionare il proseguimento del procedimento (peraltro,
l’impegno a pagare la tassa è stato assunto nel maggio 2002, a conferma
dell’insussistenza di ragioni giustificative del ritardo dopo tale
data);
- l’esistenza di un giudizio avente ad oggetto la
legittimità dell’originaria concessione edilizia non poteva paralizzare
l’azione amministrativa, a meno che gli atti non fossero stati sospesi
o annullati dal giudice (cosa non verificatasi) o annullati in via di
autotutela dall’amministrazione (in sostanza, in presenza di un
contenzioso, l’amministrazione può valutare le contestazioni che le
vengono mosse ai fini dell’eventuale esercizio del proprio potere di
autotutela, ma non può decidere semplicemente di non dare corso ad un
procedimento amministrativo, caratterizzato da precisi termini);
- del tutto pretestuosa – al fine di giustificare il ritardo
- risulta essere l’esigenza di sostituire il responsabile del
procedimento perché incompatibile, trattandosi di aspetto che rientra
nelle modalità organizzative della p.a. e che in alcun modo può
incidere sul rispetto dei termini del procedimento, posti a garanzia
del privato e della certezza dei tempi dell’azione amministrativa,
essendo compito della p.a. predisporre misure organizzative idonee a
consentire il rispetto di termini normativamente previsti. (peraltro,
non si comprende come la sostituzione del responsabile del procedimento
possa giustificare un simile ritardo).
Da tali considerazioni emerge come il ritardo nel rilascio
del permesso di costruire in variante sia imputabile soggettivamente al
comune di Leporano e come non sussista alcun valido elemento idoneo a
escludere la colpa dell’amministrazione per il ritardo.
Anzi dagli atti risulta il rilascio del permesso di
costruire in variante sia intervenuto solo dopo la presentazione da
parte del ricorrente di un ricorso avverso il silenzio ai sensi
dell’allora vigente art. 21-bis della L. Tar e ciò conferma come alcun
elemento ostativo sussisteva per il rilascio del provvedimento,
avvenuto solo dopo la presentazione del ricorso e con due anni di
ritardo (anche seguendo le tesi del Comune, qui comunque non accolte,
il ritardo di un anno sarebbe imputabile alla sola esigenza di
procedere alla nomina del responsabile del procedimento e tale elemento
è indicativo della colpevole inerzia tenuta dal comune in questa
vicenda).
3. L’accertamento della sussistenza di un ritardo di due
anni nel rilascio del permesso di costruire in variante e
l’imputabilità del ritardo al Comune non risolvono tutte le
problematiche della presente controversia, che attiene al risarcimento
del danno subito dal ricorrente a causa di tale ritardo.
Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi in cui il privato
invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con
cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma
emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel
determinato procedimento.
Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo
nell’attribuzione del c.d. "bene della vita", costituito nel caso di
specie dalla possibilità di edificare secondo il progetto richiesto in
variante.
In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere
il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale
danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1,
della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e
rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi
delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti
equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in
conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita
per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo
nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal
momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella
predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a
qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica
(Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo
argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe
anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e
finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).
Nel caso di specie, non rileva la questione della
risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d.
"bene della vita" e della compatibilità dei principi affermati dalla
decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis
della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto
tale spettanza con il (tardivo) rilascio del permesso di costruire in
variante
Si deve, quindi, passare a verificare gli elementi probatori
in ordine all’esistenza del danno e al rapporto di causalità con il
menzionato ritardo.
Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni
causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie,
mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente
fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non
potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio
attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei
fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex
art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua
entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di
fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della
prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione
equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone
l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito,
nè può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a
supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del
privato (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967; VI, 12 marzo 2004, n.
1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non è
certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla
stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono
essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di
ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la
funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di
cognizioni tecniche non possedute).
La stessa richiamata giurisprudenza ha anche precisato che
l'onere probatorio può ritenersi assolto allorché il ricorrente
indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni
criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di
vagliarne la condivisibilità attraverso l'apporto tecnico del
consulente o, comunque, quando il ricorrente fornisca un principio di
prova della sussistenza e quantificazione del danno.
Il giudice di primo grado ha applicato in modo erroneo tali
principi, ritenendo del tutto non dimostrato il danno subito per il
ritardo nella stipulazione dei contratti definitivi di acquisto degli
immobili da costruire, già oggetto di contratto preliminare e il danno
biologico subito per effetto delle patologie insorte in conseguenza
della condotta omissiva dell’amministrazione.
Si osserva che in realtà il ricorrente aveva depositato in
primo grado una serie di elementi probatori diretti a dimostrare la
sussistenza del danno e il rapporto di causalità (relazione sul valore
complessivo dell’immobile, bilanci di esercizio attestanti le perdite
subite e perizia di parte circa il danno biologico subito a causa del
protrarsi del ritardo dell’azione amministrativa).
L’onere probatorio era stato, quindi, almeno in parte
assolto dal ricorrente, che aveva fornito elementi per dimostrare
l’imputabilità al ritardo di una serie di perdite patrimoniali subite e
di una patologia medica riscontrata
Questa Sezione ha quindi disposto due consulenze tecniche al
fine di verificare la correttezza delle tesi del ricorrente, chiedendo,
per il profilo inerente il ritardo nella stipula dei contratti, una
serie di elementi idonei ad individuare criteri di quantificazione
diversi da quelli prospettati dalla parte e ciò ha giustificato
l’acquisizione in appello di documenti ulteriori, ritenuti
indispensabili ai fini della decisione ai sensi dell’art. 104, comma 2,
cod. proc. amm. (e, in precedenza, dell’art. 345, comma 3, c.p.c.),
tenuto anche conto che tali profili non erano stati approfonditi in
primo grado, essendosi il Tar limitato ad escludere la sussistenza
dell’elemento soggettivo dell’illecito.
4. Si deve, quindi, passare ad esaminare i due distinti
profili della richiesta di risarcimento del danno, partendo da quello
inerente il ritardo nella stipula dei contratti di compravendita delle
unità immobiliari, oggetto del permesso di costruire in variante in
questione.
Sgombrato in precedenza il campo da ogni eccezione relativa
alla inammissibilità delle produzioni documentali, avvenute in appello
ed esaminate dal Ctu, si rileva come il consulente d’ufficio, dott.
Donato Pezzuto, abbia risposto in modo esaustivo ai quesiti formulati,
fornendo al Collegio ogni elemento per decidere, anche in relazione
alle osservazioni formulate dai consulenti di parte.
In particolare, con riferimento all’incidenza del ritardo
nel rilascio del permesso di costruire sul prezzo di compravendita,
risultante dai contratti definitivi, il Ctu ha evidenziato che non sono
documentate le ragioni per cui le parti abbiano stipulato i contratti
definitivi ad un prezzo inferiore a quello indicato sui preliminari di
vendita, aggiungendo che l'ipotesi di danno relativa a tali differenze
di prezzo è fondata esclusivamente sulle dichiarazioni di parte e che i
contratti preliminari non risultano registrati presso l’Agenzia delle
entrate e non hanno data certa.
Il consulente ha correttamente rimesso la valutazione di
tali elementi al Consiglio di Stato, pur quantificando le differenze di
prezzo tra contratti preliminari e definitivi in euro 332.904,90.
Il Collegio ritiene che non sia stata raggiunta una adeguata
prova della data di stipula dei preliminari e, soprattutto, del nesso
di causalità tra il ritardo nel rilascio del permesso di costruire e il
differente prezzo indicato negli atti definitivi di compravendita.
Alcun idoneo elemento è stato fornito dal ricorrente per
dimostrare che tali differenze costituiscono uno sconto applicato in
conseguenza del ritardo nella stipula dei contratti definitivi e deve,
quindi, escludersi la sussistenza del menzionato nesso di causalità.
Il Ctu ha poi precisato che, pur non essendo stata indicata
nella maggior parte dei contratti preliminari una data ultima per la
sottoscrizione del definitivo, è ragionevole ritenere che, se il
permesso in variante fosse stato rilasciato tempestivamente, i
contratti definitivi potevano essere stipulati a partire dalla fine del
mese di maggio del 2002.
Tale considerazione, che il Collegio condivide, conduce a
ritenere sussistente il nesso di causalità tra il ritardo del Comune e
il danno derivante dalla mancata immediata disponibilità delle somme
corrispondenti al prezzo di acquisto degli immobili in capo al
ricorrente.
Al fine di quantificare tale danno, il consulente ha
proposto due criteri alternativi, uno costituito dagli interessi
effettivamente praticati dall’istituto bancario al ricorrente e il
secondo fondato sugli interessi legali.
Il Collegio ritiene non verosimile che somme di non esiguo
importo potessero essere lasciate dal ricorrente sul suo conto
bancario, che all’epoca aveva interessi molto bassi (inferiori allo 0,1
%) e giudica, quindi, corretto l’utilizzo del criterio degli interessi
legali, oscillanti in quale periodo tra il 2,5 e il 3 % (misura
corrispondete a diverse altre modalità di investimento, facilmente
accessibili).
Tale criterio è stato correttamente applicato dal consulente
in relazione alla data di ogni singola operazione di compravendita,
escludendo altrettanto correttamente quelle operazioni per le quali il
preliminare era stato stipulato dopo il rilascio del permesso di
costruire in variante.
L’importo complessivo degli interessi legali, calcolati dal
consulente, è di euro 36.100,33 e tale somma va, quindi, riconosciuta
al ricorrente a titolo dir risarcimento del danno, unitamente
all’ulteriore somma di euro 2.042,48, corrispondente a interessi e
spese per un finanziamento contratto dal ricorrente presso un istituto
bancario nel giugno del 2002, che non sarebbe stato contratto o sarebbe
stato subito estinto in caso di insussistenza del ritardo e conseguente
anticipata disponibilità delle somme derivanti dalle compravendite
degli immobili.
E’ anche provato il nesso di causalità tra il ritardo nel
rilascio del permesso di costruire e nella successiva stipula dei
contratti definitivi e l’ICI, che il ricorrente ha continuato a pagare
nel periodo maggio 2002 / maggio 2004, che ammonta a complessivi euro
2.117,36 (che non avrebbe pagato in caso di antecedente stipula dei
contratti definitivi).
Con riferimento alle spese legali rivendicate dal
ricorrente, si osserva che le spese attinenti ai giudizi contro il
comune di Leporano o contro altri soggetti controinteressati rispetto
al rilascio del permesso di costruire non possono essere riconosciute
nella presente sede risarcitoria, ma formeranno oggetto delle
statuizione dei competenti giudici in sede di definizione di ciascuna
controversia (compresa ovviamente la presente, come verrà statuito in
seguito).
Vanno, invece, riconosciute a titolo di risarcimento del
danno le spese sostenute nella causa promossa dal signor Valentini
contro il ricorrente proprio per il ritardo nella stipula del contratto
definitivo e per una riduzione del prezzo; tali spese ammontano a euro
3.864,86.
In relazione a tale controversia non può essere riconosciuta
alcuna ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno, non
essendovi allo stato un danno certo e dipendendo l’attualità della
questione dall’esito di quel giudizio civile, trattandosi, allo stato,
di un danno puramente ipotetico e non assistito da alcuna dimostrazione
– come correttamente affermato dal Tar - della ragionevole probabilità
della verificazione.
Nè, infine, possono essere riconosciute somme correlate alle
perdite di esercizio subite dalla ditta del ricorrente nel periodo in
questione, in quanto tale criterio, proposto in primo grado dal
ricorrente, risulta essere di difficile applicazione e incerto nei
risultati e, soprattutto, è alternativo alla analitica valutazione
degli elementi del danno operata in precedenza.
Il complessivo danno subito dal ricorrente per le
conseguenze del ritardo nel rilascio del permesso di costruire sulle
compravendite degli immobili ammonta complessivamente ad euro 44.125,03.
Su quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno,
costituente debito di valore, spettano la rivalutazione monetaria
secondo gli indici Istat dal maggio 2004 ad oggi e gli interessi
compensativi calcolati nella misura legale separatamente sul capitale
via via rivalutato dalle singole scadenze mensili fino al soddisfo
(Cass. civ., III, n. 5671/2010; Cons. Stato, IV, n. 2983/06). La
decorrenza di interessi e rivalutazione dal maggio del 2004 si
giustifica con il fatto che in tale data è cessata la situazione di
illecito dell’amministrazione e i criteri utilizzati dal Ctu hanno in
concreto riportato a tale data la quantificazione del danno.
5. Con riguardo all’ulteriore profilo di danno chiesto da
ricorrente e relativo alla patologia medica, si ricorda che il giudice
di primo grado aveva escluso la risarcibilità per difetto di prova in
ordine al nesso causale tra il comportamento dell’Amministrazione e
l’infermità.
E’ stato già evidenziato come in primo grado il ricorrente
avesse fornito elementi di prova del danno e del nesso di causalità,
ritenuti sussistenti in un parere medico-legale di parte, vertente su
aspetti che sono stati approfonditi nella consulenza tecnica d’ufficio,
disposta in appello.
Il Ctu dott. Mario Borrelli, medico della Polizia di Stato,
ha evidenziato la sussistenza della patologia "disturbo ansioso –
depressivo reattivo con somatizzazioni somatiche, quali l’alopecia",
ritenendo l’insorgenza di tale infermità collocabile tra la fine del
2001 e l’inizio del 2002.
In relazione al nesso di causalità, il consulente ha
rilevato che il disturbo riscontrato nel ricorrente trova la sua causa
in "stimoli esterni capaci di influenzare negativamente le capacità di
adattamento di un soggetto" e che "la condotta omissiva da parte
dell’amministrazione comunale è stata vissuta dall’appellante come atto
profondamente ingiusto e inspiegabile, al quale non ha saputo opporre
adeguate risposte sul piano dell’elaborazione esistenziale".
Il giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità tra la
patologia e il ritardo nel rilascio del permesso di costruire, benché
fondato su valutazioni in parte probabilistiche, è condiviso dal
Collegio.
Va, tuttavia, evidenziato che la quantificazione del danno
biologico permanente nella misura di 10 punti percentuali non tiene
conto del fatto che lo stesso Ctu ha ricondotto l’insorgenza dei primi
avvisi della patologia ad un periodo (fine 2001 – inizio 2002),
antecedente al manifestarsi dell’inerzia della p.a., anche se il Ctu ha
poi rilevato che "la strutturazione di una vera patologia psichica è
poi insorta nel maggio del 2004, … allorché iniziò i trattamenti in
ambito dermatologico, peraltro infruttuosi, seguiti dal ricovero in
casa di cura psichiatrica (luglio 2004)".
Il nesso di causalità può ritenersi sussistente in relazione
a tale seconda fase della patologia, e non alla sua insorgenza e, di
conseguenza, il danno biologico permanente può essere equitativamente
ridotto a 7 punti percentuali.
Va ricordato che il danno biologico costituisce
quell’aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all’integrità
fisica della persona (Cass. civ., III, n. 19816/2010), assumendo i
postumi d'invalidità personale natura patrimoniale solo in ipotesi di
prova, nel caso di specie, insussistente, di idoneità ad incidere sulla
capacità del danneggiato di produrre reddito (Cass. civ., III, n.
13431/2010).
A seguito delle note pronunce delle Sezioni Unite della
Cassazione (n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008),
l'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale è esteso, oltre
ai casi espressamente previsti dalla legge (art. 185 c.p.), alle
ipotesi in cui l'inadempimento abbia leso in modo grave un diritto
della persona tutelato dalla Costituzione, quali il danno da lesione
del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno
biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139, d.lgs. n. 209/2005,
specifica definizione normativa.
Nel caso di specie, il danno accertato dal Ctu è appunto il
danno biologico, derivante dalla lesione del diritto inviolabile alla
salute e deriva, inoltre, da un illecito di carattere permanente,
costituito dall’inerzia della p.a. nel provvedere su una istanza del
privato, che assume particolare valenza negativa, derivando
dall’ingiustificata inosservanza del termine di conclusione del
procedimento, che il legislatore ha, di recente, elevato all’ambito dei
livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il
territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
(v. il comma 2-bis., dell’art. 29 della legge n. 241/90, introdotto
dalla legge n. 69/2009, che richiama appunto tra tali livelli
essenziali l’obbligo per la p.a. di concludere il procedimento entro il
termine prefissato e le disposizioni relative alla durata massima dei
procedimenti).
Tale richiamo, benché effettuato ai fini di definire
l’ambito di applicazione della legge n. 241/90 con riguardo al rapporto
tra legislatore statale e regionale, assume una valenza pure per
valorizzare e potenziare ogni forma di tutela, inclusa quella
risarcitoria, per i danni da ritardo della p.a., che possono quindi
riguardare anche le conseguenze di detto ritardo sull’integrità fisica
del cittadino.
Nel caso di specie, la già debole situazione psico-fisica
del ricorrente è stata in concreto messa duramente alla prova da una
attesa, apparsa a volte interminabile, della conclusione di un
procedimento, da cui dipendeva la sorte dell’unica attività
imprenditoriale in quel momento svolta. Il ritardo di due anni nella
conclusione del procedimento e le già menzionate ripetute e pretestuose
richieste, che hanno assunto l’unico scopo di dilazionare
(illegittimamente) l’adozione del provvedimento finale, sono elementi
che hanno finito per incidere sull’equilibrio psico – fisico del
ricorrente, provocando un danno, che va quindi risarcito.
La quantificazione del danno biologico permanente,
determinato in sette punti percentuali, va effettuata in via
equitativa, anche tenendo conto dell’età del ricorrente nel 2004 (41
anni) e dei criteri di cui all’art. 139 del d. lgs. n. 209/2005
(corretti in aumento – sempre in via equitativa – anche alla luce dei
criteri utilizzati dalla giurisprudenza civile e in particolare dal
Tribunale di Milano; v. Trib. Milano, V, 09 giugno 2009, n. 7515),
nella misura di complessivi euro 11.220,00, su cui vanno calcolati
interessi e rivalutazione monetaria secondo i criteri indicati in
precedenza.
6. In conclusione, il ricorso in appello deve essere in
parte accolto e, in riforma dell’impugnata sentenza, va in parte
accolto il ricorso di primo grado con condanna del comune resistente al
risarcimento del danno della complessiva somma di euro 55.345,03.,
oltre a rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dal maggio
2004 ad oggi e gli interessi compensativi calcolati nella misura legale
separatamente sul capitale via via rivalutato dalle singole scadenze
mensili fino al soddisfo.
Alla sostanziale soccombenza del Comune seguono le spese del
doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in
dispositivo.
A carico del Comune vanno poste anche i compensi delle due
Ctu, che si ritiene di poter liquidare collegialmente in questa sede,
non essendo intervenuto al momento del passaggio in decisione del
ricorso alcun decreto di liquidazione ai sensi degli artt. 66, comma 4
e 67, comma 5, cod. proc. amm..
Al consulente dott. Renato Pezzuto va liquidato il compenso
di complessivi euro 6.500,00, oltre accessori di legge, tenuto conto
del valore della controversia, riferito al complesso delle voci di
risarcimento esaminate (euro 391.320,02) e dei criteri fissati
dall’art. 2 del d.m. 30 maggio 2002.
Al consulente dott. Mario Borrelli va liquidato il compenso
di complessivi euro 2.592,70, di cui euro 1092,70 per spese, oltre agli
accessori di legge.
In caso di già avvenuta corresponsione ai consulenti
dell’acconto da parte dell’appellante, la relativa somma andrà detratta
da quella da pagare ai Ctu e rimborsata dal comune all’appellante.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), accoglie in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe e
per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte
il ricorso proposto in primo grado, condannando il comune di Leporano
al pagamento in favore di Vito Lacarbonara, a titolo di risarcimento
del danno, del complessivo importo di euro 55.345,03, oltre
rivalutazione monetaria e interessi legali secondo i criteri di cui in
parte motiva.
Condanna il comune di Leporano alla rifusione, in favore
dell’appellante, delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate
nella complessiva somma di Euro 10.000,00, oltre Iva e C.P..
Liquida in favore del Ctu dott. Renato Pezzuto il compenso
di complessivi euro 6.500,00, oltre accessori e in favore del Ctu dott.
Mario Borrelli il compenso di complessivi euro 2.592,70, di cui euro
1092,70 per spese, oltre accessori, ponendo i costi delle Ctu a carico
del comune appellato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3
dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere, Estensore
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 28/02/2011